Relazione sindacale

Care delegate,
cari delegati,

comincio la mia relazione dai dovuti ringraziamenti che vanno al Presidente, Sig. Mario Milojevic e al Vice-Presidente, Sig. Fabio Cantoni, alla Direttiva e al Comitato Cantonale.
Un grazie anche alle colleghe Loredana Ghizzardi e Flavia Pattaroni per il loro lavoro quotidiano presso il segretariato del sindacato. 

Come ogni anno ricordo sempre volentieri l’indimenticabile Presidente, Sig.ra Astrid Marazzi e i soci fondatori Prof. Guido Marazzi e Luigi Salvadé.
Gli ultimi mesi sono stati davvero intensi a livello sindacale. Quanto sta avvenendo a livello internazionale e geopolitico, ha delle chiare ripercussioni anche alle nostre latitudini generando preoccupazione e incertezza nella popolazione.
Questo contesto così complicato tocca direttamente anche i salariati, che sembrano ora ancor più disposti ad accettare determinati abusi pur di non perdere il posto di lavoro.

Durante questa breve relazione risulta impossibile concentrarsi sui singoli aspetti che hanno segnato il mondo del lavoro negli ultimi mesi, cercherò di toccare più temi trasversalmente concentrandomi perlopiù sul difficile rinnovo di alcuni contratti collettivi di lavoro, sul tema della mancanza di manodopera e sulle misure di risparmio messe in atto dal Governo.

Prima di entrare nel vivo della relazione sindacale è importante ricordare la sfida più importante che dovranno affrontare il nostro così come tutti i sindacati, quella del ricambio generazionale. Sostituire i pensionati con i giovani lavoratori non è per nulla facile, i valori e le emozioni che animavano lavoratori degli anni ’80 e ‘90 sono completamente diversi rispetto quelli che animano la generazione Z, di coloro nati dopo il 2000, che possiedono si valori di apertura mentale e inclusione dell’altro maggiori rispetto alle precedenti generazioni, ma che peccano con tendenze comportamentali orientate all’egoismo, all’individualismo e al narcisismo. Orientamenti quest’ultimi che non giovano ad associazioni come la nostra che hanno la tutela degli interessi collettivi tra i principi costitutivi di una società, società che ci vede sempre più tristemente isolati e disinteressati alle battaglie comuni.

Rimanere attrattivi in termini di prestazioni offerte ai soci, rinnovando i servizi offerti, continuando a offrire vantaggi assicurativi grazie alla collettiva di cassa malati SITHelsana nonostante il più restrittivo quadro giuridico imposto dall’autorità di vigilanza FINMA, curare gli aspetti legati ad una consulenza individuale globale,… queste sono solo alcune delle soluzioni che metteremo in atto. 

La concorrenza dei sindacati maggioritari ovviamente non facilita il compito d’acquisizione di nuovi soci. Una concorrenza resa difficoltosa in base ai diversi mezzi e alle diverse risorse messe in campo, che, di fatto, impediscono il nostro accesso deciso ad alcuni settori economici.

Le misure di risparmio del Governo

Sempre più d’attualità sono le misure di risparmio messe in atto dal Governo per risanare i conti dello Stato. Il 15 maggio 2022 la popolazione ha votato il famoso decreto Morisoli, che prevede Pareggio del conto economico entro il 31 dicembre 2025 con misure di contenimento della spesa e senza riversamento di oneri sui Comuni. Il pareggio deve essere ottenuto rispettando alcune condizioni:

• le imposte non devono essere aumentate;
• le misure devono essere prioritariamente di contenimento della spesa;

Inoltre la Costituzione prevede inoltre il freno al disavanzo che prevede che, di principio, i conti devono essere presentati in equilibrio. 

Da qui (troppo facile) le misure di risparmio sul personale. Le più incisive la riduzione di salario del 2% oltre la quota salariale di 60’000 franchi e il mancato riconoscimento del carovita. Queste due misure diminuiranno del 3% il potere d’acquisto di migliaia lavoratori. Lavoratori che tengono in piedi questo Cantone occupandosi di garantire la nostra sicurezza, la formazione, la sanità, la socialità e la giustizia. Questo è profondamente ingiusto e lancia un segnale preoccupante al resto dell’economia. 

Nonostante i Sindacati Indipendenti Ticinesi – SIT intendano l’attività sindacale quale mezzo per il raggiungimento di accordi condivisi tra le parti, attraverso un lavoro di concertazione e di trattativa pacifica, basata su nobili principi di diplomazia e di persuasione, riteniamo che gli strumenti propri dell’azione collettiva e della mobilitazione di piazza siano ora più che mai giustificati. È per questo che anche noi ci mobiliteremo il prossimo 22 novembre, ritenendo che la forza d’urto della piazza sia ora necessaria, affinché l’opinione pubblica sia a conoscenza degli scenari nefasti che il taglio dei servizi e dei salari dei dipendenti pubblici produrrà nella società. 

L’invito alla partecipazione alla manifestazione, indetta congiuntamente dalle organizzazioni sindacali, si estende non solo alle migliaia di dipendenti che verranno toccati direttamente o indirettamente dalle misure proposte dal Governo, l’invito si estende all’intera cittadinanza che, sempre più bisognosa di servizi di accresciuta qualità, non può assistere silenziosamente alla scandalosa riduzione della spesa pubblica a disposizione nel campo sociale, sanitario, formativo e della sicurezza.

Mancanza di manodopera

A partire dal vissuto delle lavoratrici e dei lavoratori durante la recente pandemia si è sviluppata a livello mondiale una tendenza del tutto inattesa: il cosiddetto fenomeno delle “grandi dimissioni”.
In realtà, già prima della pandemia, un sondaggio svolto in 140 Paesi aveva reso noto che l’80% della popolazione occupata odia il proprio impiego. Ora, dopo aver avuto mesi per riflettere sulla qualità della vita, tantissime persone esauste, esasperate e impoverite si sono organizzate per licenziarsi collettivamente dai settori della ristorazione, della sanità, della vendita al dettaglio, della cultura, degli autotrasporti e da altri ancora. Dimettersi è visto come un modo per riconquistare tempo per noi stessi e per la nostra vita un modo di opporsi a condizioni di lavoro ai limiti dello sfruttamento che peggiorano la salute e le relazioni sociali. Il dato più incredibile è che il 36% di queste dimissioni è stato fatto senza avere un lavoro di ripiego, ciò significa che queste persone hanno preferito l’incertezza dell’ignoto piuttosto che la certezza della vita di prima.
Anche in nostro territorio è in grave difficoltà. Settori interi sia nel privato, che nel pubblico, che non riescono più ad attrarre e soprattutto a trattenere forza lavoro. Si pensi, ad esempio, a settori quali la Polizia Cantonale, che ogni mese vede partire tre  propri agenti per altri lidi (polizie comunali, confederazione, sicurezza privata, …). Un recente sondaggio all’interno del corpo di Polizia ci dice che nel primo anno d’impiego dopo la formazione, il 38% degli agenti è pentito e vuole cambiare professione. Per non parlare poi della sanità dove la percentuale d’infermieri che vuole abbandonare la professione dopo il primo anno d’impiego supera il 50% e dove la vita professionale media è di 14 anni. I lavoratori se ne vanno, dall’ufficio, da un capo che soffrono da troppo tempo, da ritmi di vita disumani, da un sistema che non gli appartiene più. Salari, indennità, turnistica sfavorevole con lavoro notturno e nei giorni festivi, durata del lavoro, rapporto con superiori e colleghi, cassa pensione, … sono tra le motivazioni principali che portano le persone a guardare altrove. Sindacalmente, lasciatecelo dire, qualche sassolino dalle scarpe ce lo togliamo, avendo per anni protestato contro quei datori di lavoro poco attenti a garantire salari dignitosi e condizioni di lavoro all’avanguardia. Bisogna avere cura del proprio personale, il capitale umano è un valore aggiunto insostituibile per qualsiasi azienda e va gratificato, ascoltato e pagato bene! Ogni tanto basta anche un “grazie” per il lavoro svolto.

Anche la frase tanto inflazionata fino a poco tempo fa “se ti va bene è così, se no fuori c’è la fila che aspetta” non è più attuale. In alcuni settori edilizia, ristorazione, sanità, commercio al dettaglio, industria, agricoltura … non si trovano neanche più frontalieri disposti a lavorare. Alcuni settori, soprattutto quelli che prevedono un lavoro di maggior fatica, in condizioni meno agiate e bassi salari, la manodopera, di tutte le nazionalità, è carente.

Inoltre le nuove generazioni, da un certo punto di vista per fortuna, poco si prestano a sopportare condizioni di lavoro poco attrattive, quasi in una forma di ribellione, questa volta molto più silenziosa, che ricorda le battaglie, ben più rumorose, dei giovani del ’68, che in quel periodo misero in atto una vera e propria rivolta etica, un cambiamento di morale contro i valori diffusi dalla società capitalista: l’individualismo, il sistema consumistico, l’ esaltazione della tecnologia, manifestavano contro ogni tipo di guerra (si pensi alla guerra del Vietnam) e contro il potere politico tradizionale spesso visto come autoritario. Anche oggi i giovani lavoratori sembrano protestare contro un sistema produttivo basato sulla performance, sul rendimento, sulla crescita illimitata, sul lavoro a basso costo (finanche al lavoro gratuito, si pensi al fenomeno degli stage occupazionali) e sul perseguimento costante del maggior profitto possibile a discapito della propria salute e della propria qualità di vita. Oggi generazioni intere non sono più d’accordo. Lavoratori che richiedono percentuali occupazionali lontane dalla piena occupazione e condizioni di lavoro che permettano la conciliabilità lavoro-famiglia.
Questo, è innegabile, avrà ripercussioni evidenti sul modello tradizionale delle assicurazioni sociali. Assicurazioni impostate, decine di anni fa, su modelli che prevedevano la piena occupazione e la piena carriera lavorativa. AVS, LPP, LADI, LAINF, AI, IPG avranno a disposizione meno fondi per finanziare le proprie prestazioni. Si pensi al secondo pilastro, una percentuale lavorativa inferiore, comporta un salario assicurato inferiore e di conseguenza accrediti di vecchiaia versati inferiori sia da parte del lavoratore, che del datore di lavoro. Questo comporta una minor disponibilità di capitale al pensionamento, che comporterà rendite di vecchiaia sempre inferiori in un contesto di aumento dei costi e di maggior aspettativa di vita. Per non parlare poi dei buchi contributivi, dovuti a congedi sabbatici e alla cura dei figli per quanto riguarda soprattutto le donne. Lo capisce chiunque, il modello attuale, non è compatibile con la società odierna. È qui che servono politici che pensiono a medio-lungo termine e non alla propria elezione al prossimo appuntamento elettorale, proponendo soluzioni proporzionate e equilibrate.

Risulta oggi a maggior ragione pericolosa ogni deriva xenofoba e ogni forma di chiusura su noi stessi in quanto queste avranno effetti sicuramente negativi sulla nostra qualità di vita. In base ai dati che raccontano di un tasso di natalità stagnante, la Svizzera deve continuare a creare valore aggiunto e a rimanere attrattiva verso l’esterno per attirare lavoratori e famiglie. Lavoratori esteri, forza lavoro, che sono e saranno sempre più una risorsa imprescindibile per sostenere l’apparato economico ticinese e per mantenere le rendite erogate ai nostri sempre più numerosi pensionati.

Il difficoltoso rinnovo dei contratti collettivi di lavoro

Negli ultimi mesi sono iniziate le trattative per il rinnovo di alcuni contratti collettivi di lavoro giunti a scadenza. Le aspettative dei lavoratori sono molto alte. In un periodo di rincaro dei prezzi, il mantenimento del potere d’acquisto dei lavoratori è al centro delle preoccupazioni sindacali. Lo scandaloso aumento dei costi dell’assicurazione malattia, l’aumento del costo dell’energia e degli usuali beni di consumo oltre che dei servizi in generale e delle pigioni d’affitto richiede un aumento almeno paritario dei salari. Qualora questo non avvenisse, come purtroppo è il caso per la maggior parte dei lavoratori dipendenti, ecco che inizierebbe una pericolosa recessione economica che avrebbe l’effetto nefasto di una crisi sociale dovuta all’aumento delle persone disoccupate e messe ai margini della società. Detto diversamente, qualora i salari non dovessero seguire l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo, migliaia di lavoratori si ritroverebbero ad avere un potere d’acquisto inferiore, questo diminuirebbe il loro potere d’acquisto così come i loro consumi, mettendo in difficoltà l’economia intera, con aziende che verrebbero costrette a rivedere al ribasso le condizioni lavorative, a delocalizzare e infine a licenziare decine di lavoratori.

L’unico modo per evitare questo scenario è quello di concedere il rincaro dei salari. Purtroppo il maggior datore di lavoro di questo Cantone, lo Stato, ha deciso di non concedere questo diritto ai propri 10’500 dipendenti, questo avrà un effetto a cascata su altre migliaia di lavoratori, vincolati, in base al proprio contratto collettivo, a quanto deciso dal Governo per i propri dipendenti. Un pessimo segnale questo lanciato anche verso il settore dell’economia privata che prende ancora le condizioni d’impiego pubblico come modello di lavoro virtuoso da imitare.

I datori di lavoro, va pure ammesso, incontrano anche loro chiare difficoltà nel programmare a lungo termine. L’instabilità a livello globale e il rincaro dei prezzi colpiscono anche le aziende, che difficilmente riescono a pianificare il lavoro a medio lungo termine come avveniva prima della pandemia. Quasi come se ci sia stato un prima e un dopo, un dopo certamente per tutti più burrascoso. Ci appelliamo però ad un certo senso di responsabilità da parte degli imprenditori e, siamo sicuri, solo attraverso il confronto costruttivo e serio con la propria forza lavoro, per tramite delle associazioni sindacali, riusciranno ad uscire indenni da questo difficile momento storico.

La salvaguardia delle pensioni, il mantenimento del potere d’acquisto indicizzato al rincaro dei prezzi e il diritto all’intero salario diventano, ora più che mai, principi imprescindibili affinché si mantenga la pace sociale e l’erogazione di servizi di qualità. Su questi principi non siamo disposti a retrocedere di un passo, farlo significherebbe tradire coloro che negli ultimi anni hanno lavorato instancabilmente ricevendo applausi e promesse che vengono ora vergognosamente disattese dalla classa politica. 

Concludo con la speranza di aver corrisposto alle aspettative degli associati, che quotidianamente ripongono in noi la loro fiducia, e dei membri della Direttiva e del Comitato, che mi supportano nel ricoprire questa prestigiosa e gratificante carica, terminando la relazione sindacale ribadendo che non ci sarà mai realmente benessere e non ci sarà mai realmente progresso sociale finché esisteranno giovani disoccupati, pensionati a margini della società e lavoratori che pur lavorando resteranno poveri!


Grazie per l’attenzione.



Questo e altri articoli sul numero 417 di Progresso Sociale, il periodico dei Sindacati Indipendenti Ticinesi distribuito gratuitamente ai suoi soci.

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